Cinico natalizio

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Mi dicono che devo essere felice, che devo accontentarmi, ma anche chiedere di più dalla vita, di sorridere alla vita, e di fregarmene dei problemi che tanto passano.

Non so da dove vengono questa accozzaglia di frasi fatte. Magari vengono dette perché godere delle frustrazioni degli altri è piacevole.

E poi arriva il Natale. Inizia l’apoteosi del consumismo, del buonismo, delle belle parole, dell’ipocrisia, delle luci e colori di una festa che deve per forza piacerti.

Inizia la corsa ai regali.

Prima con il Black Friday, poi con le ultimissime offerte, promozioni, pubblicità con motivetti natalizi che vorrebbero invogliarti a comprare il regalo giusto per lui, per lei, per loro.

Da ottobre, inoltre, iniziano a stressare la gente su Capodanno. Sembra che si viva solo per la fine dell’anno. Solo per fare una grande festa, nella falsa speranza di lasciarci indietro tutto il male che abbiamo sopportato e di accogliere un altro anno, che sarà esattamente come quello passato.

Sono molto cinica nei confronti di come vengono presentate queste festività, che in realtà sono nate per celebrare tutt’altro (Santo Wikipedia spiega)

Vedo negli occhi della mia bimba una curiosità davanti a queste luci e addobbi fantasiosi. Vorrei tanto trasmetterle la gioia e l’emozione del Natale, ma non di quello che fanno vedere in tv.

I buoni sentimenti sono elogiati, ma allo stesso tempo mortificati dalla società. Nel senso, che sì, devi essere buono, ma non troppo, perché troverai sempre qualcuno più furbo di te che ti prenderà tutto…

Ma che razza di messaggio trasmettiamo ai nostri figli?

Attraverso questi filmetti natalizi, non cancelliamo lo schifo che tutti i giorni leggiamo/vediamo/condividiamo. Il Natale non può salvare un intero anno di schifo, di ipocrisie, di opportunismi.

Perchè ci teniamo tanto a festeggiare il Natale? Cosa ci guadagniamo a ripetere ogni anno la stessa filastrocca dei buoni sentimenti quando per tutto l’anno non facciamo altro che mangiarci l’un l’altro?

E’ quel fascino irresistibile del Natale, che ci porta ad essere così ossessionati da questa festa, quello di essere perdonati, almeno per un giorno.

Il Natale e la fine dell’anno, sono punti focali della nostra vita, dove crediamo che alla fine siamo perdonati, e possiamo ricominciare.

Fascino illusorio a cui non possiamo resistere.

Io vorrei tanto trasmettere gioia e speranza alla mia bimba, vorrei insegnarle le vere motivazioni del Natale, del perchè si festeggia.

Non si può essere buoni solo alla fine dell’anno, ma esserlo sempre e comunque, perchè solo così possiamo sopportare meglio noi stessi e gli altri.

L’unico modo per insegnarlo è farlo, dare l’esempio ai propri figli è la cosa migliore che possiamo fare per loro. Cercherò di farlo, per quanto mi è possibile, non sono una mamma perfetta, come già ho scritto in post precedenti.

Cercherò essere meno Grinch e più Mamma Natale… ma sospetto che alla fine riuscirò a fare solo la Befana!

 

 

 

 

Una donna o una mamma?

Sono una mamma.

Innanzitutto voglio tranquillizzarvi che essere mamma non è una malattia contagiosa, potete starmi accanto come prima senza per questo avere le voglie della maternità.

Questa etichettatura forzata mi sta molto stretta, troppo stretta. Io non sono solo una mamma.

Me ne sono resa conto solo quando lo sono diventata: le donne, quando diventano madri, perdono il loro valore, sono solo madri e basta.

Sono una donna, o meglio sono un essere umano. Ho i miei interessi separati dal mio essere mamma.

Amo leggere. Mi piace vedere film, documentari, trasmissioni televisive. Ho la passione per i social network e se mi seguite anche sugli altri canali (Facebook, twitter, Instagram, Pinterest), non parlo sempre e solo dell’essere mamma. Certo, è una cosa che mi ha sconvolto la vita, come è giusto che sia. Ma non mi sono completamente annullata.

Sono la stessa di prima… anzi, no, non è corretto…

Diventando mamma ho conosciuto i miei limiti e le mie possibilità, scoprendo nuovi lati della mia personalità, e queste nuove sensazioni non stonano affatto con le precedenti.

La gente tende ad inquadrarti dentro un certo stereotipo di madre chioccia che pensa solo al figlio e deve solo vivere per il suo bene. Non è così.

Sento il bisogno di uno spazio per me, sento il bisogno di esprimere il mio essere, che non è solo quello di madre. E il fatto che non condivido la mia vita con voi, non vuol dire che mi sia annullata per mia figlia.

Ho altre preoccupazioni, è vero,  ho altri momenti di gioia che non derivano solo dalle mie passioni, ma anche dagli occhietti dolci della mia piccola.

Ma non vuol dire che non mi potete più parlare!

Molte persone, nella mia (poca) vita sociale reale, hanno cominciato ad ignorarmi, perché ormai sono mamma. Forse pensano che non abbia più i loro interessi, né argomenti di conversazione in comune con loro. Forse hanno paura che mi metta a parlare di 50 sfumature di cacca oppure di 1001 modi per far dormire il tuo bambino for dummies…

È come se diventando madre abbia perso delle cose. Come se improvvisamente diventassi intoccabile. E sono rimasta sola.

Molti miei coetanei non hanno nemmeno la minima intenzione di sposarsi o fare figli, ma non li critico, sono scelte di vita. Come io rispetto le loro, mi aspetterei che loro rispettassero le mie.

(Oh, il rispetto questo sconosciuto)

Invece, vengo isolata, come se fossi portatrice di peste bubbonica.

E non trovo nemmeno molti punti in comune con chi mamma già lo è.

Ci sono certe cateogorie di donne, che diventate madri, diventano rincitrullite.

Passatemi il termine, per favore… rincitrullite, davvero. Come se avessero realizzato tutto nella vita e ora fanno le mamme. La loro vita: finita, dedichiamoci al pargolo, facciamone altri e basta. Organizziamo feste per mamme, per far giocare i bimbi insieme, facciamo fare solo le cose al bambino , solo con mamme…

Io sono fuori anche da questi gruppi. Il motivo mi sfugge, ma penso sia perchè queste mamme sembrano non avere un lavoro, una vita al di fuori dell’essere madri. Quando organizzano compleanni o incontri, sono sempre ad orari pomeridiani, nei quali per me è impossibile andare, perchè lavoro. Anche al nido, sembra che tutte abbiano tempo per fare tutte le attività extra super importanti per lo sviluppo del bebè… dalle 14 alle 16, orari facilissimi per tutti!

E così che mi snobbano: per me è più importante il lavoro che della crescita di mia figlia… è questo che sento quando vedo i loro sguardi su di me. Quando finalmente sono riuscita ad avere un’ora di libera uscita per gentile concessione del grande capo, e oso farmi vedere alle feste, vedo occhi e sorrisi che non fanno altro che sottolineare “oh ma guarda, la snaturata…”.

Lavoro 8/9 ore al giorno, pendolare da una stazione a un’altra, arrivo a casa con la voglia solo di abbracciare la mia piccolina. E giochiamo insieme, io e lei, e mi manca avere la compagnia di un adulto diverso da mio marito.

Vorrei tanto conoscere altre persone, genitore o non genitore, fa lo stesso. Ho bisogno di conoscere altre storie, altre vite, ho bisogno di essere me stessa, ogni parte di me stessa lo richiede.

Come si fa? Mi sento in trappola, una gradevolissima trappola rosa, di cui non posso fare a meno, ma che qualche volta vorrei lasciare, solo per guardare cosa c’è fuori.

Non mi pento di essere diventata mamma, assolutamente. Solo che sento di essere isolata da entrambi i mondi: un mondo fatto di donne impegnate a realizzare i loro sogni, e un altro di mamme impegnate a soddisfare quelli dei loro figli. Devo per forza rientrare in una di queste categorie? Una via di mezzo non esiste?

C’è qualcuno che si sente come me?

Chiudo la porta di casa

Ieri ho chiuso il contratto di affitto.

Ho dato tutte le cure possibili all’alloggio che mi ha ospitato per 7 anni, dove ho costruito la mia famiglia, dove è nata la cosa più bella che poteva darmi la vita. Ho dato il bianco, rimesso a posto, tenuto con cura e grazia un vecchio appartamento che aveva i suoi difetti, ma nonostante tutto era vivibile.

Ho sempre trattato i padroni di casa con cortesia, gentilezza e rispetto, sono sempre stata puntuale nei pagamenti, e ho cercato di essere una inquilina impeccabile. Mi sono sempre preoccupata per loro quando stavano male, chiedevo loro notizie agli altri inquilini, in quanto non ero quasi mai a casa. Ho sempre avuto cura di essere anche una buona vicina con tutti e ho trovato delle gentili anziane che mi hanno trattato come una loro nipote, con la classica cura delle nonne.

Quando ho detto che me ne andavo, le mie nonne adottive erano tristi, si erano affezionate a noi e quasi mi mettevo a piangere.

Invece il padrone non mi ha riservato il trattamento che avrei pensato.

Magari sono troppo onesta, troppo gentile, troppo cortese. Magari sono pretenziosa, mi faccio troppe aspettative, credo che il mio interlocutore sia una persona come me, onesta, gentile e cortese.

E’ colpa mia, mi faccio troppe aspettative e poi rimango delusa.

Infatti, ieri, era come se mi avesse vomitato addosso tutto un astio nascosto per tanti anni, di cui non mi ero resa conto. Mi ha detto che non ho tenuto bene la casa, che non sono stata una brava inquilina, che lì è “casa sua” e si fa come dice lui, anche se non è giusto. Ho dovuto mantenere la calma, ho sentito il mio cuore battere forte e la fiducia spezzarsi.

Mi ha fatto male. Sapere di non essere stata una gradita ospite mi ha fatto male.

Mi ero resa conto che non era propriamente l’esempio più onesto dell’essere umano, ma ho sperato che alla fine, nonostante tutto, il rapporto si sarebbe concluso con professionalità.

Mi sbagliavo.

Mi dispiace, perché io ce la metto tutta, sono onesta e a certe azioni non giuste mi disgustano.

Mi dispiace aver finito tutto in un modo poco cordiale e con molta rabbia.

Non devo però ricordare quell’alloggio con la scortesia dell’ultimo giorno. Voglio ricordarmi, invece, che in questi anni non sono stata male.  Le persone di quell’appartamento sono la cosa più rassicurante di questo pianeta. Gente gentile, comprensiva e cordiale.

Ora devo ricominciare in un nuovo appartamento, in una nuova zona, con nuove persone.

Bisogna abituarsi a nuovi ritmi, a nuovi rumori, a nuove facce.

La novità spaventa e attrae, come la vertigine. E’ una trappola, perché nella novità ti fai delle aspettative e cominci a volare con la fantasia. Ma dopo l’esperienza triste del vecchio alloggio, voglio partire più prevenuta e aspettarmi di tutto.

Troverò sicuramente persone come quelle che ho lasciato, nel bene e nel male.

Il problema è che al male non ci si abitua mai.

Chiudo la porta di casa e vado avanti.

 

Va tutto bene.

La depressione è una brutta bestia, in tutti i sensi.

E’ una mano oscura che si appoggia alla spalla e ti ricorda tutti i giorni, tutte le ore, tutti i secondi che non vali niente, che non meriti di esistere.

E’ quella cosa che ti fa esistere e ti spreme l’emozione dal corpo, continuando ad andare avanti e a far finta che vada tutto bene.

Gli amici non capiscono perchè non li chiami più e si sentono offesi. Nessuna mano che ti offre aiuto… e dici che va tutto bene.

La famiglia non si rende conto di cosa stai passando, pensa che sei sempre la solita scorbutica e permalosa, che ti lamenti sempre, che vedi sempre tutto negativo, quindi perchè preoccuparsi? Sono sempre stata così.

Sì, va tutto bene. Sono io che mi lamento.

Va tutto bene.

Va tutto bene.

Non sorrido? Pazienza, è un momento no.

Ma va tutto bene.

E poi dimentichi perchè prima sorridevi. Non vuoi vedere nessuno. Ti chiudi. Non esci.

Ma va tutto bene.

E se dici che va tutto bene, prima o poi la gente ti lascia stare, non si interessa, e perchè se ne deve interessare?

E’ così che inizia, pensi sia un periodo, e poi il periodo è lungo, passano le stagioni… passa un anno. Non ti emoziona più nulla, non trovi gusto nel fare niente.

Non dormi bene, sei sempre stanca e non hai voglia di fare niente. Ti lasci andare, ti vesti male, non ti trucchi, non ti curi… tanto chi si rende conto che tu stai male? E poi, dai, va tutto bene.

Va tutto bene.

Questa è la depressione.

L’illusione che vada tutto bene, che sei tu quella sbagliata nel mondo, che in fondo a nessuno interessi.

Sei tu quella sbagliata, non vedi che va tutto bene? Perchè ti lamenti?

E dentro di te qualcosa di consuma piano piano, consuma le emozioni, consuma i sorrisi, consuma il cuore. E rimani indifferente a tutto.

E sentendoti sbagliata, ti crei l’illusione, la maschera.

Va tutto bene.

Porto ancora questa maschera. Non riesco a togliermi la tristezza. Mi sento in trappola.

Ma va tutto bene.

Cerentola – riflessioni post visione

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Ci siamo abbonati a Netflix, e con questa cosa abbiamo messo la parola fine a tutti i nostri contatti sociali.

E’ una droga, niente da fare. Tra film e serie tv, cartoni per la piccola e documentari per i grandi, c’è da perdersi.

Inoltre, ogni mese ci sono sempre nuove uscite interessanti, e la mia lista si allunga di visioni che posticipo e non credo riuscirò mai a finire (vedi Supernatural…).

A volte, quando sua grazia Grumpy Lucy me lo concede, rimango la sera a vedere qualcosa che interessa solo me, come l’altra sera… ho provato a vedere Cenerentola. Non il cartone (magari!), ma  il film del 2015, regia di Kenneth Branagh.

La storia la conosciamo tutti, non mi dilungo. Kenneth Branagh pure lo conosciamo, è colui che ha messo un po’ di Shakespeare in Thor, quindi una garanzia. Le premesse per un bel film ci sono: non solo il regista, ma anche gli attori promettono bene: Cate Blanchett nel ruolo della perfida matrigna, Helena Bonham  Carter è una fata madrina fantastica, Lily James e Richard Madden una coppia da favola, appunto.

Troppa dolcezza, troppo zucchero, troppa glicemia… la fanciulla è una santa scesa in terra per salvare le nostre anime (manca solo che la madre l’abbia partorita da vergine e abbiamo una nuova Messia).

Il messaggio principale di tutto il film è che la gentilezza salverà il mondo.  E’ un bellissimo messaggio. Alla fine la gentilezza ripaga chi la usa, ma i tempi sono molto più lunghi (come l’Asl).

E’ stato creato un prodotto tale e quale al cartone animato del 1950 destinato ad un pubblico infantile.

Oggi i film per bambini hanno anche l’attenzione degli adulti e le case cinematografiche creano prodotti adatti per tutto il pubblico, mettendo anche delle citazioni che i genitori possono facilmente riconoscere, oppure creando pellicole animate prettamente per adulti. Forse mi aspettavo un prodotto simile, dimenticandomi la funzione fondamentale delle fiabe: devono insegnarci qualcosa.

Trovo coraggioso promuovere il messaggio della gentilezza. In un mondo connesso 24 ore al giorno, dove si può avere e dire qualsiasi cosa con prepotenza ed ottenerla, essere gentili e cortesi è diventato controcorrente.

Siamo diventati aggressivi, vogliamo tutto e subito, vogliamo che i nostri figli imparino in fretta, vogliamo il successo a tutti i costi, i soldi a tutti i costi.

Siamo diventati come la matrigna e le sue figlie, schiave di un modello superficiale e sbrigativo. Badiamo più all’aspetto esteriore, a quello che pensano gli altri. Sfruttiamo i social per soddisfare il bisogno narcisistico di mostrarci. Se non pubblichiamo sul web, non esistiamo.

Eppure, tutto questo mostrare l’aspetto esteriore ci ha fatto dimenticare i nostri sentimenti, quello che sentiamo dentro. Per questo ci arrabbiamo quando qualcuno ci giudica o ci fa del male… Tutti abbiamo bisogno di trattare tutti con gentilezza. Essere cortesi e rispettosi, lo pretendiamo dagli altri, ma facciamo fatica a comportarci nella stessa maniera con loro. E’ un circolo vizioso: gli altri non mi trattano come vorrei, quindi tratto gli altri male. Non è così, e Cenerentola ce lo insegna perfettamente.

Ella dispensa la sua cortesia a chiunque, dalla matrigna alla serva, ha un sorriso per tutti, una parola gentile perfino per gli animali. All’inizio ho pensato che fosse troppo irreale una persona del genere, però questa esagerazione  è tipico dello schema fiaba. Ci sono buoni e cattivi, due modi di vivere distinti. Bianco e nero, la strega cattiva e la fata buona.

Ovviamente nella vita non dobbiamo ridurre tutto a due colori, ma questo ci insegna che essere gentili è la miglior cosa che possiamo fare al prossimo. Noi non sappiamo le loro battaglie, le loro giornate, i loro problemi… come gli altri non sanno i nostri.  Ed essere gentili è un atto di coraggio. Solo con la nostra forza possiamo sopportare la vita di tutti i giorni. Trovo che sia un bellissimo insegnamento, nonostante tutta la stucchevolezza presente nel film.

“Sii gentile e abbi coraggio”

Un bel messaggio, da film tratto da una fiaba, da bambini.

Sinceramente, io preferivo la versione dei Grimm: http://www.grimmstories.com/it/grimm_fiabe/cenerentola

 

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